PILU PER TUTTI E BANGKOK PER TROPPI

 

PILU PER TUTTI E BANGKOK PER TROPPI (PARTE PRIMA)

 

Dubai, porto aerospaziale fantascientifico ipertecnologico grancontedesticazziviendalmare e così via. Quando ho detto che avrei fatto scalo a Dubai si sono alzate ovazioni e ululati di invidia e ammirazione. Sembrava dovessi passare per la luna. Aspettative a più non posso.

 

Terminal 3 dell’iperporto. Sembra di stare in un ventre d’aereo. Un crogiolìo di luci artificiali che accecano e disorientano, un deserto artificiale, dove tutto brilla fittizio e dove l’aria condizionata sparata a palla ti disidrata come un pomodoro secco.

Negozi di grandi firme, eleganza, pavimenti lucidi e commessi ammiccanti e sempre disponibili, anzi, fin troppo disponibili. Come ti avvicini a un oggetto ti fissano inquietanti e dopo secondi 8 partono con la solita litanìa di hi-how-can-I-help-you, seguita da una pubblicità dell’articolo in oggetto degna di un Mike Bongiorno anni ’90. Compra compra compra, che cazzo, come se davvero si facessero grandi affari a comprarla qua la roba anziché altrove. Eppure tutti girano con borsette e scatole di cose ComprateAddubai, eh, mica a Padova o a Massa Carrara, per dire. Anche gli arabi comprano in questo infinità di inutilerìe; girano a gruppi, quattro cinque uomini lenzuolati e uno in borghese, il portaborse-della-spesa. Mi chiedo se uno di loro avrà mai l’indecenza di comprarsi uno di quei telefonini oro-platino-noccioline alla modica cifra di euro 12.000. Prezzo base.

Insomma, aspettative deluse e pure un po’ depresse. E vabbene che ci abbiamo trascorso solo poche ore e che abbiamo soltanto visto uno dei suoi 5 terminals ma fatto sta che a me, insomma, l’aeroporto di Dubai, più che un’enorme carlinga, è sembrato un’enorme supposta.

 

In compenso la compagnia di bandiera, la Emirates, per portarci in Thailandia ci fa accomodare in un mostro volante a due piani dotato della più entusiasmante, gratificante e ricca serie di intrattenimenti. Il tutto concentrato su di un piccolo schermo al plasma posto a 50 centimetri dai miei occhi. Un centinaio di giochini arcade tra i più in voga negli anni ’80-’90, film recenti, barocchi, spassosi, pallosi, impegnati e cazzoni, di ogni razza e religione. Il meglio della commedia italiana, i nuovi mostri americani, i drammi dell’estremo oriente e il collosso Bollywoodiano. Seguo cinque film contemporaneamente, alterno scene di disastri ambientali a rutti di Homer Simpson, sguardi divertenti-loro-malgrado e manovre chirurgiche che nemmeno Dio in persona riuscirebbe a fare.

Ma ciò che più entusiasma è il settore musica. Con l’acquolina in bocca scorro il menù di presentazione, affamata di talmente tante cose da non saper davvero da dove cominciare. L’intera discografia di David Bowie, il nuovo album degli Interpol e degli Elbow, i dimenticati Midnight Oil e poi, maddai, i Crowded House sono ancora vivi e prolifici. Migliaia di canzoni, migliaia di hits da ogni parte del mondo. Scopro ad esempio che in India il tormentone nazionale è sempre lo stesso da almeno vent’anni, che all’estero Tiziano Ferro è più famoso di Vasco Rossi e che in Russia si ascoltano a palla i Via-Gra e i DDT (ecco dove trae ispirazione Benni per i suoi libri…). E chissà quante altre meraviglie avrei potuto scoprire se solo questo volo fosse durato di più, se non avessi ceduto così di schianto a questa indignitosa stanchezza. Ma tant’è.

 

Arriviamo a Bangkok ancora sigillati nel nostro involucro ad atmosfera controllata. Prigionieri dell’aria condizionata ci chiediamo quanto caldo farà fuori dall’aeroporto e quanto sarà traumatico lo sbalzo “umido inverno-torrida estate” che ci aspetta. Beh, forse l’unica a chiederselo in realtà sono io. Ivano è talmente sfatto e rincoglionito di ore non dormite e di stress da viaggio da non rendersi nemmeno conto di essere al mondo… Un treno, una stazione vuota e un vagone poco affollato. Poi il caldo inquinato e il caos. Quindi una metropolitana e di nuovo pace e silenzio. Ad Hua-Lampong risaliamo verso l’inferno ma grazie a dio il nostro ostello si fa trovare facile facile, veloce veloce. Il tempo di aprire la porta della stanza e di fare un paio di commenti disinteressati e già dormiamo: testa piegata in una posa tutt’altro che ergonomica e bava alla bocca.

Usciamo la sera, ancora morbidi di sonno e completamente persi. Finiamo a Silom Thanon una strada gremita di bancarelle di stronzate e di microristorantini molto molto casalinghi che fanno immediatamente scattare in noi l’allarme anti-scagotto. Basta un fuoco, un pentolone con dell’olio o del brodo o anche solo una griglia sul bordo del marcipiede per sfamare gli avventurosi avventori. Gli Avventosi. Anche noi sfidiamo la sorte, noodles, dumplings e acqua in bottiglia tiepida. Niente di entusiasmante, devo ammettere ma comunque un inizio di cui andiamo abbastanza fieri. Perchè lungo queste strade ordinare qualcosa è sempre un’impresa. Non esiste un menù e non si traducono i nomi dei piatti in inglese. Puoi ordinare indicando quello che vuoi ma non essendo piatti pronti ma una combinazione espressa di 400 ingredienti è un po’ difficile capire cosa cazzo ti porteranno alla fine. Il rischio è quello di ritrovarsi sul piatto il famoso pechinese in agrodolce della signorina Silvani…

 

Certo che, tanto le stazioni del treno e della metro sono vuote, tanto sono caotiche le strade di questo quartiere maledetto. E presto capiamo anche perchè. Prendiamo una laterale, proviamo ad addentrarci nello stomaco di questa città e ci ritroviamo risucchiati in un’arteria a senso unico dove mancano il sangue e l’ossigeno ma eccede la carne. Al centro i turisti, ai lati i venditori locali. L’aria calda diventa ancora più difficile da respirare perchè intrisa di ogni odore e di voci asfissianti di mercanti. C’è chi offre magliette di note marche al prezzo di un caffè, chi mette in bella mostra orologi che più pacchiani non si può, chi ti propone scarpe da battona e chi ti la prende meno alla larga offrendoti direttamente una fetta di culo. Non il suo, ovviamente. Un lato della strada è interamente occupato da locali con pista di lap-dance e stanzette private. Ogni cinque metri qualcuno ti piazza davanti delle foto di ragazze e un tariffario(le prestazioni sono descritte in thai quindi alcuni rischiano di pagare 1000 bath per una sberla), tutti cercano di trascinarti in qualche buio locale in cui non si intravedono che bianche chiappe di ragazze quantomai disinibite. Pilu. E’ quello che mi dice sorridente uno dei tanti papponi che mi intralciano la strada. Dice che c’è pilu per tutti, pilu very good, c’è pilu anche per me. Ivano e io ce la ridiamo, i thailandesi hanno un che di napoletano nelle vene…

 

Ed ora, l’angolo della morale. Bangkok è la città del sesso a pagamento per eccellenza. Lungo queste strade del pilu non si vedono che occidentali di mezz’età, uomini sorridenti con quei quattro soldi in tasca che bastano loro per passare un’ora al giorno a sfogare le lunghe astinenze sessuali accumulate negli anni a casa. Con ragazzine. O ragazzini, per i quali non riesco ad immaginare che uno squallido futuro. Proprio a causa del divertimento idiota di questi quattro cani disperati che non hanno mai fatto godere nessuna donna innamorata di loro. Perchè l’unica femmina ad averli amati è stata la loro mano. E qui si chiude l’angolo.

Sdegniamo questi uomini ma non con troppa convinzione. Qui il sesso è il pane quotidiano, la prostituzione normalità. Si ride, si contratta e si esce soddisfatti. Quello che ho notato è proprio questo. Che tutti in queste strade hanno un’aria soddisfatta, rilassata. Bangkok è una città che scopa tanto e con tutti, il sesso è la caramella del popolo e sfama e soddisfa quasi tutti. Ed è per questo che io ed Ivano qui rappresentiamo un’eccezione, perchè durante sto viaggio la nostra astinenza sessuale(vivadio siamo fratelli) ci fa sentire in difetto rispetto a questa cultura, ci pare davvero di non viverla a pieno e, anche se di certo non invidiamo né sosteniamo chi al contrario di noi alimenta il mercato della prostituzione, non ci vien voglia di prenderlo a calci nelle palle come pensavamo, stranamente. Forse perchè sotto sotto siamo invidiosi del fatto che loro si sentano più parte integrante di questo Paese di quanto potremmo mai farlo noi, poveri viaggiatori non scopanti.

 

Il giorno dopo. Il jet lag fa il suo sporco lavoro e al mattino ci cementifica le gambe. Facciamo una delle peggiori colazioni della nostra vita e lenti lenti ci avviamo verso Chinatown. Mano a mano che ci addentriamo nel cuore fumoso e pulsante del quartiere l’aria si fa via via sempre più irrespirabile. Case fatiscenti e un traffico che non ha un dio e nemmeno un santo da quattro soldi. Fumo che esce senza pietà da auto, tuk tuk e autobus dall’aspetto molto cubano. Bidoni pieni di carta data alle fiamme, fumi di griglie e fumi d’incenso. Chiunque vende qualsiasi cosa, materiali di recupero per lo più, cose buttate via e sistemate poi alla meno peggio. Lo spazio per camminare è stretto e povero, poverissimo di ossigeno, le cose da guardare e da immortalare troppe. I miei sensi si perdono in quel tutto che mi fa girare la testa. Gli odori di plastica bruciata, di immondizia, di spezie, di sudore, di oli profumati, di asfalto, di pesce, di fogna, di fritto. Il cibo offerto in onore del proprio credo, le candele e le preghiere di chi chiede umilmente la carità. Perchè qui chi è povero è povero davvero, qui, a differenza che da noi esiste davvero qualcuno che non ha niente. Ci imbuchiamo in stradine laterali alla scoperta del nuovo mondo, regna sovrano uno sporco a cui non siamo mai stati abituati ma è uno sporco talmente ricco di particolari da scacciare a calci in culo qualsiasi tentativo di nausea.

La seconda grande fatica della giornata è un dedalo di templi buddhisti dorati, e anche quì c’è troppo per i nostri sguardi e nel nostro cervello i ricordi si accumulano veloci uno sull’altro spintonandosi e strattonando.   Buddha dorati a non finire. Un regno di bellezza e di silenzio. Mi fa venire voglia di sedermi all’ombra e starmene là per ore a contemplare e a pensare a cose semplici e mai fuori moda. Bangkok è davvero troppa e i suoi templi sono acqua: servono a diluirla per renderla più facilmente assimilabile.

PILU PER TUTTI E BANGKOK PER TROPPIultima modifica: 2011-02-02T19:01:00+01:00da betterbequiet
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