MEGLIO DI COME TRATTI GLI ALTRI

Yoske l’ho conosciuto a Dublino, durante una serata come un’altra, a bere pinte di birra scura e a sorridere a gente che di lì a qualche tempo non avrei più visto.

Aveva i capelli neri a caschetto, gli occhi arrossati dall’alcol e una bocca larga e storta. Non faceva che annuire con la testa e assumere pose da cartone animato. Un perfetto giapponese, un giapponese bruttino e timidissimo, per la precisione.

Fu Yves a presentarci. Yves era un ragazzo svizzero che seguiva il mio stesso corso di inglese. Yves era anche la mia anima gemella. E lo è tuttora. La persona più affine a me che abbia mai incontrato, l’unica. Che di anime gemelle ne possiamo avere solo una. Tutti gli altri sono compromessi.

Ci siamo riconosciuti sin dalla prima pinta. Ogni parola scambiata, ogni espressione del viso, ogni silenzio beato era una conferma della nostra affinità. Non so se vi sia mai capitato. Di capire ancor prima di aver ascoltato e di non sentirvi più dannatamente soli e inconsistenti, perchè finalmente avete trovato qualcuno che può consolarvi di infinita comprensione.

Ecco, Yves era ed è il mio secondo io, ed io il suo.

Quella sera mi presentò il suo compagno di stanza e mi disse che Yoske non conosceva nessuno, che era timido e che parlava malissimo l’inglese. Così mi sedetti con lui per fargli compagnia mentre Yves, in missione birra, veniva inghiottito da una massa di irlandesi trionfanti e determinati a placare tutta la sete del mondo.

Avevo 22 anni e mi piaceva la musica, così gli parlai di quella. Lui mi ascoltava estasiato, annuiva felice anche capendo solo metà di quel che gli dicevo. Quando poi gli dissi che ascoltavo i Pavement si auto-proclamò istantaneamente mio miglior amico. Dopo Yves, si intende.

Da quel giorno, per anni, Yoske non mi avrebbe più lasciata, mi avrebbe seguita anche in capo al mondo, se necessario. E così fu. Nemmeno un anno più tardi ci ritrovammo in Nuova Zelanda.

Avevo 23 anni e i capelli corti e parlavo un po’ meglio l’inglese. Lui di anni invece ne aveva sempre 25, portava lo stesso taglio a caschetto e parlava il solito pessimo inglese.

Studiavamo presso lo stesso istituto e trascorrevamo tutto il tempo libero insieme. Christchurch era così bella in quegli anni. Bella, ingenua e priva di qualsiasi pregiudizio. La città  – e la donna –  ideale.

Ricordo l’immenso parco dove andavamo a ingrassare le anatre quando eravamo tristi. Le spese al supermercato, scalzi e in pigiama, per il pranzone comunitario della domenica. Tutti quei ristorantini asiatici dove Yoske mi insegnava le regole dello stare a tavola giapponesi. Quel gioco idiota, a cui perdevo inesorabilmente, per colpa del quale ho dovuto mandar giù non so quante cucchiaiate di wasabi, come punizione. E poi l’Art Centre, con il suo mercato biologico del sabato mattina e quel caffè bellissimo, dove trascorrevamo i pomeriggi a bere grandi tazze di tè con il latte e ad ascoltare buona musica.

La musica era la divinità che adoravamo. Compravamo cd di seconda mano in un negozio del centro, consigliandoci a vicenda. E’ grazie a Yoske che ho scoperto musicisti che non ho più smesso di ascoltare. Elliott Smith, Nick Drake, Yo la Tengo, Caetano Veloso, Eric Dolphy. Lui adorava il jazz e mi trascinava spesso in questo vecchio negozietto di vecchi vinili, gestito da un vecchio uomo con gli occhiali quadrati. Vecchi pure quelli.       Era la sua pentola d’oro. Comprava decine di dischi a 5 dollari l’uno e li spediva in Giappone, dove una sua amica li rivendeva a dieci volte tanto.

E poi c’erano le nostre infinite chiaccherate. Trascorrevamo interi pomeriggi ad ascoltarci e il tema, oltre alla musica, era quasi sempre lo stesso. Rapporti umani.   Relationships… hey hey heeeey…       La piaga sociale delle aspettative, l’incapacità di omogeneizzarsi con la massa, il rimanere sospesi e diversi, come macchie d’olio sull’acqua. Tutto ciò che ci faceva stare così male nella società e così bene insieme.

Era così liberatorio parlare di queste cose con Yoske. Specie da ubriachi, e lo eravamo spesso. Parlavamo per ore, deliranti, io, lui e il suo cazzo di inglese da quattro vocaboli. Io, lui e il suo capire anche quando non aveva capito.               Non so se lo sappiate ma i giapponesi, per non far torti a nessuno, annuiscono sempre. Ritengono maleducato chiedervi di ripetere una frase, figuriamoci correggervi. Yoske non faceva eccezione. Al punto che per anni ha lasciato che lo chiamassi Yoske, senza mai correggermi, quando il suo nome in verità è Yosuke.

Yoske annuiva e accettava, non si intestardiva mai su nulla. Tranne che su una cosa. La sua idea di amicizia. In particolare, sul fatto che quando una persona ti è così cara, non la puoi trattare come tutti gli altri. Devi trattarla meglio, farle un regalo più bello che agli altri a Natale, metterla sempre in cima alla tua lista di impegni, dedicarle più tempo, più attenzioni e più energie. Perchè lei non è gli altri, è la tua amica, colei che hai scelto, colei che è così speciale per te da meritare più di qualsiasi altra persona meno importante della tua vita.        Ne era fermamente convinto, al contrario di me, che pensavo che il bene fosse giusto elargirlo senza preferenza alcuna a chiunque, in egual misura.

Ci ho messo un po’ a capire che ad aver ragione era lui.

Puoi chiamare amico solo colui verso il quale puoi nutrire aspettative. Perchè sai che lui si farà in quattro per soddisfarle.       E’ un grande privilegio essere davvero amico di qualcuno e il perchè è presto detto.   Il fatto è che non si può star dietro alle aspettative di tutti. Ma di pochissime persone sì, persone che vanno scelte con cura perchè saranno quelle da trattare meglio di tutti gli altri.     I veri amici.      I privilegiati.

Yoske non è la mia anima gemella, ma è stato il mio migliore amico per anni e per anni ci siamo trattati come Very Important People delle nostre vite. Poi le nostre strade, per forza di cose, si sono divise. Christchurch è stata distrutta dal terremoto.     Qualche altro viaggio, qualche altro incontro. Sono andata a trovarlo in Giappone(e questa è un’altra storia che prima o poi racconterò), lui è venuto a trovarmi in Italia. Alla fine, lavoro e fidanzate ci hanno portati via l’uno dall’altra e il mio migliore amico è diventato Zuzzo. Ma Yoske rimarrà sempre una persona molto importante per me e quando finalmente un giorno ci rivedremo, torneremo a trattarci meglio di come trattiamo gli altri.

MEGLIO DI COME TRATTI GLI ALTRIultima modifica: 2015-10-29T19:20:03+01:00da betterbequiet
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