ANCHE I CANI INVECCHIANO

ANCHE I CANI INVECCHIANO 

 

Eccolo là, immobile e autoritario, ad occupare il nord e le sue promesse di freddo. Oggi riesco a vederlo da casa e i suoi profili mi sembrano clementi allo sguardo, meno spigolosi del solito. Sereno, stamane il monte Grappa è sereno.  – Partiamo? –   Guardo Ciuccio con la nutrita speranza che in tutta risposta faccia partire l’elica della sua coda. E lo fa. Scodinzola con tutto il corpo, ondeggia per tutta la sua lunghezza. Un metro di curve in movimento. Mi farà venire il mal di mare, penso.

Un’ora di strada, il serbatoio dell’auto sgasato, tocca andare a benzina, 10km con un litro. Accelero con parsimonia.  I finestrini abbassatissimi, dietro Ciuccio boccheggia e sbava sul bagagliaio; davanti io mi ancoro con entrambe le mani al volante per non farmi portar via dalla corrente. Sorpassiamo autisti rincoglioniti dal caldo, imprechiamo. Io per il traffico, Ciuccio per la mia guida. Infine approdiamo. Alle pendici del monte più sfigato del veneto.

Il Grappa è come un film di Kaurismaki. Lo schifi o lo ami con tutto il cuore. Senza compromessi. E’ un personaggio dall’aspetto trasandato, eternamente grigio e scontroso. Le nebbie perenni, l’umidità che corrode come una ruggine la sua roccia, le cicatrici di guerra, i panorami modesti. Non è certo appariscente come le dolomiti, non è mica uno che si fa ammirare, un fighetto dai lineamenti sottili che risplende della propria bellezza. No, il Grappa è un emarginato ma anche un dignitoso, uno che di consensi e approvazioni se ne sbatte, uno che di turismo di massa non ha nemmeno mai sentito parlare. Lui è un monte per pochi, camminatori di nicchia che si inoltrano nel suo ventre alla ricerca di silenzio, di ruvidezza e semplicità. Di apparente malinconia. Perchè il Grappa di triste ha solo il ricordo della guerra. Tutto il grigio che avanza è soltanto debolezza di luce, pacatezza e serenità. Ogni cosa su questo monte è umile e sincera, ricercatamente tenera e bella. Di una bellezza difficile ma che una volta colta rimane per sempre. Nel cuore e nel fiato.

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Appena apro il bagagliaio Ciuccio salta giù con un balzo e pianta il naso a terra. Un milione di odori gli ubriacano le narici. Chissà se i sentori che hanno appena aggredito le sue terminazioni nervose gli ricordano l’ultima volta che ha messo zampa in questo posto. Un po’ come le Madelaines di Proust. Un profumo, un ricordo. Perchè è questo che succede a me. L’aria che odora di foglie ammassate, di muschio e sassi nudi mi riporta indietro di un anno. All’ultima volta che io e il mio cane siamo venuti a scaricar tensioni su queste pendenze. Mi pare una vita. Mi pare ieri.

Passi lenti che schivano rocce appuntite, respiri pieni che cercano di rianimare muscoli intorpiditi. Non sono io a rallentare la comitiva, non sono io a trainare un autotreno di fatica. Ciuccio cammina alle mie spalle, per la prima volta è lui a maledire i miei polmoni capienti e le mie gambe forti. E per la prima volta sono io a doverlo aspettare, a dover tirare le mie stessi redini. Ci arrampichiamo sul sentiero delle Meatte, il nostro preferito, e ogni tanto ci fermiamo per riprendere fiato e per lappare un po’ d’acqua tiepida, avvolti da quest’aria impregnata di resina e di ciclamino. Sarà faticoso, sarà addirittura estenuante ma dio quant’è bello. Un’ora e mezza di bave e sudore, superiamo le due gallerie, poi qualche altro tornante. Manca poco alla cima. Mi giro per dirglielo e incorraggiarlo, per dargli due pacchette affettuose tra le scapole. Ciuccio è fermo in mezzo al sentiero stretto, mi guarda contento e triste. La lingua rosa-chewing-gum che gli penzola dieci centimetri sotto la bocca, quella sorta di sorriso sgranato che lo fa sembrare un po’ sciocco, il fiato corto che gli pulsa impazzito tra le costole. Non ce la fa più. Il più grande scalatore del monte Grappa non ce la fa più a proseguire verso la cima. Lo raggiungo, tiro fuori acqua e frutta e gli preparo una sorta di zuppa dolce. Lo guardo mentre svuota la sua ciotola con inusuale lentezza. Il cane pattumiera, il tritarifiuti a quattro zampe che mastica piano piano il suo spuntino. Decisamente inusuale. Mi ci siedo a fianco, gli accarezzo quel bel testone nero sperando di calmare il suo respiro affannoso; faccio le veci di S. Francesco ma con scarsi esiti. Ciuccio è esausto e passa quasi mezz’ora prima che il suo cuore riprenda un ritmo normale.

Mi alzo, metto lo zaino sulle spalle, inpugno il bastone. Il mio cane sembra di nuovo pronto a seguirmi. Manca poco alla cima. Ma a volte bisogna saper rinunciare.

Scendiamo, ritorniamo sui nostri passi, non ce l’abbiamo fatta Ciuccio, non ti preoccupare, ci bastava soltanto fare un po’ di fatica lungo questi sentieri, riassaporare quei ricordi e quei particolari che ci hanno resi così migliori amici l’uno dell’altra. Non è una resa la nostra, è un’ammissione sincera. E non è un addio questo, ci ritorneremo, non più per la cima ma soltanto per fare del nostro meglio. Per sentirci un po’ più leggeri, un po’ più noi stessi, lontani da tutto, tu e io, tu e io quì, tu e io nel nostro posto.

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Un’altra ora di auto, affronto le curve con talmente tanta morbidezza che quasi ci sprofondo. Ciuccio sdraiato nel bagagliaio dorme sonni troppo stanchi e agitati. Allora lo faccio salire davanti, sul sedile passeggeri, gli allaccio la cintura e fino a casa lo consolo con paroline stupide e dolci e grattini dietro le orecchie.

La sera, dopo un quintale di crocchette e venti litri di acqua fresca, il mio cane nero si sdraia sospirando soddisfatto davanti alla porta. E’ così stanco da sembrar malato e ti strappa di dosso tanta di quella tenerezza da farti venire il diabete. Mi ci siedo abbastanza vicina da potergli far appoggiare il muso sulle mie gambe. Gli accarezzo la testa, le spalle, gli massaggio le zampe, faccio scorrere il dito lungo la fossetta che ha tra gli occhietti nocciola. Dopo un po’ alza il muso per farsi grattare anche il collo. Sotto il mento gli sono spuntati un sacco di peli bianchi; ha una barbetta brizzolata da cane maturo, da cane che ha smesso da tanto di trucidare scarpe e ciabatte. Non è più la bestiaccia inesauribile di un tempo. Sorrido mentre lui s’addormenta silenzioso sotto le mie carezze. Anche i cani invecchiano.

ANCHE I CANI INVECCHIANOultima modifica: 2008-07-27T10:00:00+02:00da betterbequiet
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