SPAGNA VS PORTOGALLO

 

 

HOSPEDAJE JAIME (O JE N’AIME PAS?)

 

L’unico affittacamere che non va a cercarsi i clienti. Si approfitta della sua posizione privilegiata l’Hospedaje Jaime. A pochi passi da l’Oficina dos peregrinos, a poca fatica dalla piazza della cattedrale.

Di fronte alla porta consumata dal tempo e dall’umidità, mi preparo la frase di circostanza in uno spagnolo perlomeno comprensibile, quindi suono. “Si?”, mi risponde una voce femminile che sembra proprio non immaginarsi cosa possa volere chiunque abbia premuto il campanello. “Eh, buenas dias, vorrei sapere se avete una habitacion individual per stanotte”. Ovvio, che glielo chiedo a fare? Salgo al secondo piano, mi arrampico stanca sulle scale rivestite di plastica del medioevo. L’odore di stantio, i muri scrostati. Alla porta mi aspetta semi-sorridente una donna misure 80-120-80 che mi guida incerta verso la stanzetta schifo-fumosa in cui trascorrerò due giorni di meritato riposo. Mi fa vedere anche il bagno modello “El pejor cesso de Caracas” e quando le chiedo il prezzo la vedo imbarazzarsi. Vorrebbe cambiare argomento ma le tocca proprio rispondermi. Quattordici euro. Accetto per sfinimento, mi vien male all’idea di mettermi a cercare un altro posto. 80-120-80 rimane spiazzata. “Davvero la prende?”, mi chiede sorpresa. Mille chilometri ed immense fatiche per una stanzetta puzzosa di metri quadri 5. Puttana merda. “Dai dammi ste cazzo di chiavi e beccati sti soldi prima che cambi idea”, non le rispondo io.

Alla fine in questo posto decrepito ci ho trascorso ben 4 giorni. Uno dei miei difetti è che nello schifo o nel bello io comunque mi affeziono a un posto. Nel momento in cui mi diventa familiare sono fottuta. E per me ora lo squallido Hospedaje Jaime è diventato una seconda casa.

Durante il tempo che sono stata qua ho sbirciato in ogni stanza che viene affittata. E non solo. Con una certa pazienza ed astuzia sono riuscita ad allungare l’occhio anche nei regali appartamenti dei proprietari. Una coppia di decrepiti-aristocratici-tirchiacci che sembra appena uscita da un film decadente. Lui tondeggiante, un po’ sordo e con la pelle giallo-verdolina. Indossa sempre dei pantaloni ben stirati, un pullover di lana, camicia e cravatta. Un anello al dito, qualche goccia di dopobarba. E’ gentile e al contempo altezzoso; ti tratta come un conte tratterebbe un plebeo. Nulla dà e tanto pretende.

Lei indossa sempre una sorta di vestaglia a motivi floreali, più o meno vivaci. Truccata, capelli a caschetto perfetti, non si concede mai al dialogo con i clienti. Come il consorte se ne sta sempre rinchiusa in casa ma in stanze separate da quelle di lui.

Entrambi non partecipano alla vita dell’hospedaje. Il quale cade a pezzi. Lo sciacquone del bagno si inceppa ad intervalli regolari, la doccia non ha un attacco e per lavarsi bisogna usare una sola mano mentre con l’altra ci si spara l’acqua addosso. Lo specchio è rotto, la finestra gli fa compagnia. Nelle camere i muri invocano pietà e le prese per la corrente sono una roulette russa. Ma la cosa che davvero mi infastidisce è il portone d’entrata. Che non si apre manco a pagarlo. Ci infili la chiave e questa rimane bloccata. Ogni volta si ripete la stessa scena per tutti: cinque minuti di tentativi, la gente che passa e ti guarda come si guarderebbe un ladro, il nervoso, un calcio alla porta e infine la rassegnazione. Si suona il campanello per farsi aprire. Il problema è che se ti capita di rientrare tardi la notte, devi per forza: a) trascorrere la notte all’aperto b) suonare il campanello col rischio di venire linciato.

Difettucci a parte, come al solito ho finito con l’affezionarmi a questo schifo di posto. 80-120-80 mi riempie di sorrisi e di domande ogni volta che mi incrocia per il corridoio, intenta a pulire il pulibile(lei) e a curiosare il curiosabile(io). Due donne, due vite a confronto io e lei: da una parte l’avventuriera che viaggia da sola e cerca di farsi capire in uno spagnolo poco comprensibile. Dall’altra una serva che del mondo non ha mai visto nulla, che vive a contatto con gente di ogni cultura, razza e religione senza però mai interagire con la loro realtà. Io finisco con l’affezionarmi a lei perchè è sempre cordiale e mi ascolta entusiasta ogni volta che le racconto qualcosa e lei si affeziona a me perchè anche se non parlo lo spagnolo le racconto mille cose e perchè io sono un mondo talmente lontano da sembrare irreale. Come un film.

Al mattino me ne vado dall’Hespedaje Jaime sapendo di lasciare un punto fermo del mio viaggio, un posto che rimarrà lì fin quando non deciderò di percorrere un altro cammino. Uguale, con lo stesso deodorante per ambienti, gli stessi muri sgarrupati, gli stessi nobili Mascetti in vestaglia e cravatta. La stessa 80-120-80, magari un pochino più arrotondata nelle forme, la stessa cazzo di porta che ora mi chiudo alle spalle con la certezza che, se anche cambiassi idea e decidessi di rientrare, non potrei comunque.

 

28 MAGGIO

 

Primo giorno lungo il cammino portoghese. Si scende verso Lisbona, lungo strade che improvvisamente sono diventate roventi e trafficate da morire. Incredibile. In tre giorni la temperatura media si è alzata di circa 10 gradi e questo da oggi in poi mi costringerà alle solite levataccie. Vedi 5 del mattino, per evitare colpi di calore mortali.

Sfortunatamente sono costretta quasi sempre a seguire la strada nazionale perchè lungo il cammino non riesco ad orientarmi. Lo sto percorrendo contromano e le indicazioni mi voltano le spalle. E così, per non perdermi, sono costretta ad abusare di questi stradoni trafficati e inquinati, che quasi mi fan passare la voglia di viaggiare. Amen.

Oggi percorro soltanto 47 km, arrivo presto a Briallos perchè voglio approfittare del sole e del caldo per riuscire finalmente a farmi un po’ di bucato. Non so più che mettermi, ho accumulato quintali di vestiti unti e se non li lavo al più presto credo assumerò le sembianze di una discarica. Già oggi ho notato un paio di gabbiani che volavano a cerchio sopra di me.

In effetti l’igiene personale è una bella lotta nella vita di un pellegrino. Si lotta contro le docce fredde, contro la mancanza di una lavatrice, contro il maltempo che non permette di asciugare la roba, contro le giornate di cammino troppo lunghe che non ci fanno arrivare nei rifugi in tempo per riuscire a fare il bucato. E poi manca la privacy per svolgere operazioni quali depilarsi o tagliarsi le unghie, cose che non è esattamente bello fare in pubblico.

Cose che posso concedermi oggi, in questo albergue strafigo in cui soggiorniamo solo in 3. Io e due pellegrini tedeschi. Norberto, un 79enne che ama bere e mangiare e che non spiaccica nessun’altra lingua oltre al tedesco ed Erika, una 65enne che parla sempre da sola e che oltre alla lingua madre parla anche un po’, ma molto poco, di inglese. Con loro lego subito perchè, mentre aspettiamo nel caldo cocente che l’hospitalera apra l’albergue, sfodero il mio sacchetto di ciliegie fresche e distribuisco agli affamati. Così a pranzo poi loro cucinano anche per me(e qui devo per forza farvi notare che non si è mai visto un tedesco spartire il proprio pasto con qualcun altro, specie se di nazionalità diversa). Mi riempio per bene lo stomaco di pasta e dopo aver steso il bucato al sole me ne vado a letto soddisfatta. Sto cosi bene. Dormo tranquilla, ogni tanto sento il vociferare sommesso di Erika, che per rispetto quando entra nella camerata parla a se stessa a bassa voce. Questo albergue è un’assoluta figata, ci mancherebbe solo una birra fresca per mettere la corona d’oro a questa giornata. Qua però siamo in mezzo al nulla, non ci sono bar, non ci sono negozi. Allora prendo la bici e pedalo lungo la statale finchè non becco un distributore con negozio di alimentari annesso. Compro due litri di birra e ritorno a casa e, quando depongo sulle mani sorprese di Norberto questo bozzone fresco di birra, lui è così contento che si mette a ballare. Beviamo, ceniamo mettendo assieme quello che ci è rimasto, parliamo in una lingua fatta più di impressioni che altro. Che bella giornata. Sarà altrettanto bella domani?

Me ne vado a letto con i miei dubbi e le mie speranze.

 

29 MAGGIO

IL PORTOGALLO NON E’ LA SPAGNA

 

Scazzo, cioè la sensazione che ti pervade quando aspetti da quasi quattro ore che qualcuno si degni di venirti ad aprire l’albergue. Il sudore che mi rende appiccicosa, le mani nere per i lavori di pronto soccorso alla bici, la polvere delle strade trafficate che mi ricopre gambe, braccia e faccia. Faccio letteralmente schifo. E si vede.

Oggi ho oltrepassato il ponte che separa Tui da Valença sul Minho, la Spagna dal Portogallo. Ero così contenta di aver superato il confine, di aver finalmente messo piede in un Paese che da anni mi attrae irresistibilmente.

Ma l’entusiasmo è durato poco, preso a calci in culo dalle tante avversità. La gente qua è schiva, non di certo affidabile e disponibile come in Spagna. Le mani-leste abbondano e per una che viaggia in bicicletta da sola questa rappresenta una gran rottura di cazzo perchè significa non potersi mai fidare di lasciare il proprio mezzo incostudito. La lingua mi risulta incomprensibile, così come gli usi e costumi del luogo. Ora che finalmente mi ero un po’ abituata a parlare spagnolo e a comportarmi in a spanish-way, mi tocca ricominciare da capo, sperando di riuscire a imparare veloce. Gli albergue sono gestiti da gente che se ne sbatte allegramente i maroni e prima delle 17 o le 18 in genere non aprono. Il che significa che se io parto presto al mattino per evitare il caldo asfissiante, devo poi aspettare 4-5 ore per potermi fare una doccia e sperare poi di riuscire anche a lavare ed asciugare il bucato. E siccome sono in vena di lamenti, aggiungo anche che da Porto a Lisbona di albergue non ce ne sono proprio e tocca quindi attaccarsi e sperare di trovare un tetto non troppo costoso.

Oggi è una giornata del cazzo. Mi sono alzata alle 5 e mezza e ho trascorso l’intera mattinata a respirare micro e macro polveri e a correre il più possibile vicina al bordo della strada x evitare di essere rasa al suolo da una fila ininterrotta di camion . Inoltre mi sono persa, sono finita in una tangenziale(voi vi chiederete ma come è possibile, ci sono le indicazioni, bisogna essere idioti no per finire in un’autostrada o una tangenziale. E invece no. Perchè qua le autostrade non sono a pedaggio, non hanno entrate particolari, sono semplici prolungamenti di strade di città o di strade statali. Cioè tu sei tranquillo che pedali in una via che esce dalla città e poi improvvisamente questa si allarga, ti sbarra una possibile inversione ad U con un bel guard-rail e tu sei fregato. Niente dietro-front, ti tocca pedalare meschino in questo inferno di motori e velocità pregando dio di riuscire a raggiungere la prima uscita incolume. Un incubo, per dio, a pensarci ancora mi vien male), e ho rischiato di morire innumerevoli volte per vari ed eventuali motivi.

Odio le città. Ogni volta è una lotta per riuscire a trovare la strada giusta, per orientarsi e per non finire in qualche stradone proibito alle povere biciclette. Le odio perchè c’è tutto ma tutto è difficile da trovare. Le odio perchè ogni cosa è più cara, perchè la gente che ci vive è meno simpatica e perchè ne ho le palle piene di traffico e casino. Voglio tranquillità, stradine deserte e persone sorridenti. Voglio la Spagna per dio! Voglio tornare lungo la via de la plata, va bene anche un qualsiasi altro cammino. Tutto ma non questo. Magari cambierò idea nel frattempo, magari mi rimangerò le parole ma per quanto mi riguarda ora non posso che pensare a come riuscire ad anticipare il mio rientro. Finirò questo cammino, arriverò a Lisbona perchè ormai mancano meno di 500 km. Però non voglio rimanere un giorno più del necessario in questa terra così ostile per una pellegrina come me.

Post Sfogo, pensieri a pancia piena:

  •  ho aspettato fino alle 19 e un quarto, 6 ore per riuscire a mettere piede in questo albergue bellissimo e gratuito. Mi sono incazzata da morire con quello che avrebbe dovuto venirmi ad aprire la porta e già meditavo vendetta. Ma quando poi l’ho visto mi sono rimangiata tutto il mio rancore e ho tratto un sospiro di sollievo perchè se l’avessi cazziato me ne sarei pentita amaramente. Come spesso capita. Quindi, lezione numero 8. “Ci si pente quasi sempre di essere stati cattivi con le persone, poche volte di essere stati buoni. Nel dubbio meglio un tono deciso ma rispettoso”.
  • Mi sono accorta che rispetto al fuso orario di Italia e Spagna, il Portogallo è indietro di un’ora. Benon.

  • Soffro di stitichezza e non so bene perchè.

  • Sono contenta che faccia caldo.

  • Quand’ero in Spagna, ogni volta che aprivo bocca, la gente pensava fossi portoghese. Ora che sono in Portogallo pensano sia spagnola. Non ho la faccia da italiana?

  • Le due domande fondamentali che qualsiasi persona normalmente mi rivolge sono le seguenti: cosa sei(intendendo la nazionalità)? Ma viaggi da sola?????(i tanti punti interrogativi sono per sottolineare l’incredulità dell’interlocutore)

  • E poi sono contenta di poter mangiare quello che cucino io perchè ne avevo le palle piene di mangiare panini ogni giorno.

  • Ah, il vino portoghese è imbevibile. Però ottimo per condire l’insalata.

  • In vita mia  non ho mai visto tanto baccalà quanto nel supermercato in cui ho fatto la spesa oggi

SPAGNA VS PORTOGALLOultima modifica: 2009-05-29T23:05:00+02:00da betterbequiet
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