PRIMA, MENTRE E DOPO SANTAREM

 

08 GIUGNO


A Santarem è possibile arrivarci attraverso stradine secondarie. Poco traffico e la possibilità di godersi i paesaggi in tranquillità. Il che è un bene, visto che sto per attraversare forse la parte che più mi è piaciuta di quel che ho visto finora del Portogallo.

Nei dintorni di Golega, paese che qui vanta la più rinomata tradizione dell’allevamento equino, non ci sono che spazi aperti e recinti enormi da cui i cavalli ti osservano altezzosi. Ne vedo uno particolarmente bello: nero, la carrozzeria lucida e possente. Sembra Furia, cavallo del west. E io mi sento un po’ zorro così vestita di nero, così paladina della giustizia. Solo che al posto di un fidato cavallo ho un ronzino a due ruote.

Passo anche attraverso altri paesetti meravigliosi, Pombalinho, Azinhaga. Piccoli e caratteristici, un concentrato di Portogallo che avrei voglia di fotografare all’infinito. Invece non scatto nemmeno un click, mi costerebbe troppa fatica. Il vento soffia forte, e ovviamente contrario alla mia direzione, ogni tanto piove. A un certo punto mi viene un mal di testa così forte che sono costretta a fermarmi ad una fermata d’autobus e prendere una tachipirina. Ho quasi le vertigini, non mi sento più le gambe. Allora mi siedo, riposo, al riparo da questo cazzo di vento che mi vuole così male. Guardo Cristiano Ronaldo che con un sorriso idiota mi propone non so quale vantaggiosa operazione bancaria. In Italia c’è Totti, in Portogallo l’idolo nazionale invece è Cristiano Ronaldo. Milioni di manifesti con la sua faccia di ragazzetto immeritatamente fortunato invadono le fermate d’autobus, le pareti bianche di edifici pubblici, le insegne pubblicitarie. In Spagna l’eroe era Rafael Nadal, pur sempre sportivo ma perlomeno non peccante di immonda vita mondana. Mi chiedo perchè gli idoli nazionali siano quasi sempre i rappresentanti di una qualche disciplina sportiva. E non trovo risposta, come potrei? Come potrebbe una persona che trova Don Chiscotte molto più eroico di Batman capire perchè un calciatore è più famoso e amato di un netturbino qualunque?

Forse è la tachipirina che mi fa pensare a ste cose. Quando sto un po’ meglio riparto ma i pochi chilometri che ancora mi separano da Santarem mi sembrano infiniti. Per fortuna a renderli un po’ meno penosi ci pensano due aerei dell’aviazione portoghese. A quanto pare oggi è un giorno di festa e questi due aerei non fanno che vorticare nel cielo, esibendosi in incredibili acrobazie. E’ una strafigata e sono talmente presa dallo spettacolo che percorro la maggior parte della strada zig-zagando da una carreggiata all’altra, rincoglionita dai fumi degli aerei. Ma almeno così il tempo passa veloce, un’ultima scalata a una collina e sono arrivata.

Lisbona si avvicina.

Siccome il tempo non mi manca, dopo la performance di questa giornata decido di fermarmi a Santarem per un’altra notte. Mi scoccia sganciare altri 20 euro a sta squallida proprietaria di sta squallida pensionetta ma mi scoccerebbe ancora di più rifare le valigie e cercarmi un’altra sistemazione. Il lato positivo del mio rimanere è però talmente positivo che spazza via tutto il grigiore. Posso riposarmi. Posso far nuovamente colazione in questa pasticceria meravigliosa, piena di gente di una certa età fin dal primo mattino, dove servono una varietà incredibile di dolci squisiti e dove uno dei camerieri mi ha presa in simpatia e mi tratta con talmente tanta gentilezza da commuovermi.

E poi posso andare alla fiera dell’agricoltura, la più grande del Portogallo, l’evento più “in” di questa piccola città.

Il posto è fuori dalla città e io so che c’è un autobus gratuito che fa da spola tra fiera e centro cittadino ma non so né dove, né come, né quando. Siccome non so che pesci pigliare, a un certo punto fermo un autobus a caso, gli spiego il problema con gli occhioni lucidi e così facendo l’autista si offre di deviare un po’ il percorso abituale per darmi uno strappo fino alla fiera. E questa è la prima delle meschinerie che sfodero oggi.

Accedo alla manifestazione, mi guardo un po’ attorno, so che anche qui, come in tutti gli eventi che abbiano a che fare con la natura, saranno certamente proposte degustazioni et simili. Devo solo scoprire dove e come. Quindi vado al punto informazioni, per riuscire a cavarne fuori qualcosa. La prendo alla larga. Chiedo informazioni generali sulla manifestazione. L’addetta alle informazioni parla molto male l’inglese. E io mi sfrego le mani. Ora vi spiego perchè. Cerco di metterla in soggezione subissandola di domande dalla struttura grammaticale complessa. Mille termini complicati, alcuni dei quali inventati al momento. Quando la poveretta comincia a dar chiari segni di confusione mentale e crisi allora tiro fuori l’asso nella manica. Sfodero qualche parola in portoghese e qualche altra in spagnolo e le dico che se parla lentamente la sua lingua riesco a capirla comunque. Immediatamente l’informatrice recupera tutta la stabilità mentale persa precedentemente e si sente talmente grata della grazia che le avete fatto che, non solo si sforza di capire tutte le fesserie che state dicendo, ma non vede anche l’ora di sdebitarsi della vostra cortesia.

Per aiutarla nei suoi intenti umanitari le dico che sono una sommelier(vero) e che lavoro per una rivista eno-gastronomica(maledetta). E così ottengo ciò che voglio. Meschineria numero due.

Vengo inserita nella lista speciale delle degustazioni e quindi scortata a una sorta di palco con tavoli elegantemente imbanditi, abitati da gente elegantemente vestita. Tranne uno. Il mio, quello a cui siede una donna dall’età indefinibile e che indossa seria una maglietta di topolino e un paio di pantaloncini da escursione in montagna.

Le cose che degustiamo sono fondamentalmente tre: una sfilza di vini portoghesi di elevata qualità(e di elevato tenore alcolico), un pan dolce alla cannella che mi fa dimenticare tutte le avversità attraversate negli ultimi 4 anni e…. E il master piece dell’intero evento: The Capao de Freamunde, il cappone al forno più buono che abbia mai mangiato in vita mia.

L’ANGOLO DEL PICCOLO BUONGUSTAIO. Trattasi di un cappone DOP, allevato nella parte centrale del Portogallo, ovviamente con pappina buonissima e tanto spazio in cui poter razzolare. Prima dell’esecuzione finale il pennuto viene ubriacato con uno o due bicchieri di porto, a seconda della sua capacità di reggere l’alcol. Tiratogli il collo e spennatolo, viene lasciato a marinare in un intingolo speciale per un giorno intero, quindi cotto lentissimamente in forno con vino rosso e menate varie.

Ne risulta una carne particolarmente morbida e saporita, finemente speziata e squisitissima, per dio.

Sazia e vagamente brilla, infine, mi alzo dal mio tavolo e me ne vado a perlustrare il resto della fiera. Sono assolutamente conquistata da sta gente. Contadini della profonda campagna, le donne vestite con il vestito nero e il fazzoletto in testa, le ciabatte ancora sporche di terra e il gambaletto a metà polpaccio. Gli uomini in pantaloni a vita altissima, scarpe pesanti, camicia, gilè, cappello e mani dietro la schiena. Meravigliosi.

Contemplano seri bestie e macchinari, mangiano formaggi e affettati e bevono birra seduti a grandi tavoli comuni. A cui mi siedo anch’io, assieme al mio terzo e ultimo intento meschino. Quello di attaccare bottone con un gruppo di loro e trascorrere un po’ di tempo a guardarmeli per bene e a condividere il loro pasto. Cosa che mi riesce. Trascorro un’ora felice a far finta di capire tutto ciò che mi dicono, a farli ridere e a farmi prendere per pazza raccontando loro del mio viaggio solitario. Bevo birre, converso, in non so che lingua, di vacche e cavalli e formaggi. Dopodichè mi congedo, saluto queste persone umili e felici con poco(che bella cosa), becco l’autobus giusto che mi riporta in centro e ai miei pensieri per il giorno dopo.

09 GIUGNO

Avrebbe dovuto essere molto semplice. Prendi la N3 e la segui fino a Vila Franca de Xira. 51 km, nessuna deviazione. Ma ovviamente non è andata così. L’imbocco per la nazionale è chiuso a causa di una manifestazione militare e per immettermici devo tornare all’ufficio informazioni e cercare di farmi spiegare un percorso alternativo. Un parto difficile e assai lungo. Ma in qualche modo ce la faccio, eccomi sulla strada giusta, direzione sud.

E qui emerge il secondo, tragico problema. Il traffico è mostruoso e la strada strettissima. Pedalo con la paura costante di essere investita e quando poi un camion con rimorchio mi sorpassa sfiorandomi non più di 20 cm decido che devo assolutamente uscire da sto inferno e trovare una via alternativa per arrivare a destinazione. Ci provo e una la trovo. E poi un’altra e un’altra ancora. Allungo il percorso di 15 km ma meglio la fatica che la paura. E poi mi perdo, e figuriamoci, e allora mi fermo a chiedere a un gruppo di uomini seduti fuori da un bar. Indico loro la strada che vorrei fare sulla mia cartina, la città a cui sono diretta. Mi dicono che quella che voglio fare è una strada di montagna, con tantissima salita e che sarebbe molto più semplice seguire la nazionale e amen. Io ci provo a spiegar loro che ho un grosso problema con il traffico e che le altezze non mi spaventano ma questi non vogliono proprio capire. Si vede che non vanno mai via in bicicletta. Dopo aver cercato di persuadermi a seguire la via principale in tutte le maniere e aver miseramente fallito alla fine si rassegnano e mi spiegano come arrivare a Vila Franca attraverso la strada di montagna. Non sanno che per me è pura gioia affrontare questa lunga salita. L’ultima del mio viaggio. Amo le salite, le amo perchè so di essere abbastanza forte da poterle affrontare senza problemi, perchè mi costano tanta fatica ma soprattutto perchè, una volta raggiunta la cima, mi sento la persona più felice del mondo. Mi fermo, mi asciugo il sudore dalla fronte, guardo il panorama, il punto da cui sono partita, così lontano e basso. E respiro, respiro profondamente come se quella fosse la prima aria che respiro dopo anni di apnea. E sono felice, assolutamente, perfettamente felice.

 

 

PRIMA, MENTRE E DOPO SANTAREMultima modifica: 2009-06-15T17:48:00+02:00da betterbequiet
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