PILU PER TUTTI E BANGKOK PER TROPPI (un punto per i batteri)


 
PILU PER TUTTI E BANGKOK PER TROPPI (un punto per i batteri)

 

Hanno avuto la meglio. Nonostante non abbia mai distolto l’attenzione né mi sia concessa leggerezze. Nonostante tutti i buoni propositi e le regole auto-imposte. Hanno avuto la meglio. Su di me. Sul mio istinto di autoconservazione. Ma soprattutto. Sul mio intestino.

Un’allegra mattinata trascorsa a fare avanti indietro dal bagno al letto e a scacciare educatamente la signora delle pulizie che si ostina a chiedermi a intervalli regolari se può sistemarmi la stanza.

Batteri, cazzuti invincibili maledetti batteri thailandesi. Me li immagino così: più scuri e unti di quelli italiani, gli occhietti socchiusi, le zampette nere, il muso rotondo e qualche pelo in testa. Entrano in me senza nemmeno guardarsi attorno e procedono dritti verso una direzione che sembrano già conoscere, non si sa come. Lenti ma decisi. Ignorano le minacce e gli attacchi dei miei mezzi di difesa, non lottano nemmeno, semplicemente continuano a procedere, un chiassoso gruppo che non deve niente a nessuno. Alcuni tra i miei anticorpi e globuli bianchi, lesi nella dignità, scoppiano in lacrime. Il pianto depresso di chi si credeva chissà chi e ha poi scoperto di non essere nessuno. Batteri. Colonizzano senza fatica, si fanno i cazzi loro e quando arriva il momento di andarsene se ne vanno senza tanti drammi. Il mio sistema immunitario canta alla vittoria ma non è una vera vittoria la sua e lo sa. I batteri hanno fatto ciò che hanno voluto, l’hanno umiliato, loro, così poveri e privi di armi, hanno avuto la meglio contro una macchina da guerra sofisticatissima, dotata dei più moderni mezzi di difesa. E al momento della fine non si sono nemmeno difesi, si sono lasciati sconfiggere, paghi di ciò che avevano ottenuto.

La sera sono ovviamente senza forze, vuota soprattutto, ma ho voglia di uscire, perchè trascorrere un’intera giornata in 15 mq non fa bene alla propria salute mentale. Navigo con la testa persa in altre acque tra ondate di gente in festa, e sono talmente assente che la gente non mi vede e continua a venirmi addosso. Oggi è il capodanno cinese, l’Asia intera festeggia l’evento e per un giorno dimentica i suoi mali. Fatalità mi trovo giusto nel quartiere cinese, dove il caos impera incontrollato. Vado prima a vedere il Wat Traimit, un tempio dorato dove è costudito un buddha di CIN-QUE-VIR-GO-LA-CIN-QUE tonnellate d’oro massiccio e dove ci si mette in fila per cercare di centrare con una monetina una grande pentolone di bronzo. Se ci azzecchi il tuo desiderio si avvera altrimenti ti attacchi. E qui apro una parentesi. La moneta va tirata da una distanza di due metri in un pentolone del diametro di circa un metro. Ora, voglio dire, una monetina ti assicura un successo garantito vista l’estrema facilità del tiro, cioè bisogna essere degli invertebrati per riuscire a mancarlo(cazzo). Eppure… vuoi il caldo, vuoi la tensione emotiva, vuoi la digestione difficile, ho visto che almeno metà dei concorrenti non è riuscita nell’impresa. Io, per evitare eventuali umiliazioni mi ci sono tenuta al largo. Chiusa parentesi.

Torniamo al capodanno cinese. Lungo le strade una massa di gente mai vista si riversa imbizzarrita e potenzialmente letale, stretta in un tunnel di bancarelle e drogata dai fumi dell’olio bollente e della carne bruciata. Cibo, cibo di ogni genere e proposto nei modi più svariati: castagne cotte nel catrame, melograni spremuti con mani nere e poi imbottigliati in contenitori sterili, cicale di mare sventrate e lasciate a marinare crude in una brodaglia senza dio. E poi spiedini di carne trita e di pesce, palline fritte, dischetti scottati sulla piastra, bastoncini grigliati. Spremute di frutti mai visti e un vecchio, che sorseggia da una cannuccia un frullatone verde, che mi fa un segno con il pollice alzato per quantificare il suo indice di gradimento. La verità è che, non solo assaggerei volentieri quel frullato, ma che mi tufferei pure a occhi chiusi su qualsiasi cibo che vedo. E non tanto per la fame ma più per la curiosità che mi divora, sempre di più, un pezzetto della mia carne che se ne va per ogni cosa nuova che vedo. Guardare e non toccare. E’ una tortura. Io non lo so se vi siate fatti un’idea delle condizioni non-igieniche che regnano in questo posto. Piatti, posate e bicchieri vengono lavati in bacinelle di acqua densa e scura. Chi cucina e serve ha unghie nere, e vai tranquillo che le mani se le lava non più di una volta al mese. Provenienza degli ingredienti, meglio rimanga sconosciuta. E tante altre cose che a un qualsiasi occhio attento farebbero passare la fame istantaneamente. Io però non sono molto schizzinosa, mi adatto, faccio finta di non vedere. Ma stasera non mi posso permettere di chiudere gli occhi. Se mando giù una qualsiasi di queste cose sono dolori. Dolori addominali, per la precisione… Allora mi metto alla ricerca di un riso bianco, bollito, di un posto decente dove non noti minacce batteriche particolarmente cattive. Ma non lo trovo. C’è sempre qualcosa che non va. Porca puttana. E così giro un paio d’ore facendomi largo tra la gente che continua a non vedermi. E intanto le forze calano. Tristezza. Stare male in mezzo a una massa di persone in festa. Stare in mezzo a una delle più grandi feste mai viste e non potere festeggiare. Ed è quando mi assale questa tristezza che inizio a notare quei particolari da cui il buonumore mi aveva salvaguardata. I vicoli bui dall’odore nauseante e le entrate squallide di posti in cui per massaggio si intende una prestazione sessuale con minorenni. I vecchi mutilati, senza braccia né gambe, che si rotolano per terra e che qualcuno a volte accidentalmente calpesta. Un ragazzino con un buco rosa al posto di un occhio che suona il flauto per guadagnare qualche spicciolo. Una madre seduta per terra con due bambini deformi che piangono e non sanno dove sono né cosa ci fanno al mondo. E la gente che mangia e ti viene addosso. L’odore nauseante che esce da una fogna coperta solo da una griglia. E ancora la gente che parla a voce alta e fissa vogliosa il cibo dei baracchini. Il caldo, l’assenza di spazio, di aria. Mi gira la testa. E nel tornarmene a casa per una stradina secondaria, semivuota, tiro un grande e sentito sospiro.

 

PILU PER TUTTI E BANGKOK PER TROPPI (un punto per i batteri)ultima modifica: 2011-02-04T07:02:00+01:00da betterbequiet
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