1 D C

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Manca poco alla partenza. I giorni scorrono, il calendario si riempie di croci. Soltanto 11 ‘X’ mi separano dal cerchietto. Undici, come gli apostoli senza Giuda. Undici, come le dita di due mani col riporto di uno. Undici, come i chili della mia bicicletta senza me sopra. Undici, come le ore di volo che separano Francoforte da Singapore. Undici, come i probabili giorni di jetlag che patirò una volta giunta a destinazione.    Undici, come 11 dicembre.

Nemmeno me ne rendo conto che tra due settimane scarse mi presenterò a un check-in dell’aeroporto di Venezia, con una bicicletta e una valigia, e me ne partirò sola con i miei pensieri, destinazione Lontano-lontano.   Le ore che cercherò invano di dormire sui sedili degli aerei, le infinite attese, le persone in transito che attraverseranno il mio sguardo, il cibo di plastica, i mille trucchi per riempire i vuoti temporali. L’uso della toilette in volo, che per me è sempre un’avventura traumatico-emozionante. E poi finalmente l’arrivo e tutto il resto.   Non riesco nemmeno a pensarci, come se dovessi partire tra undici anni anziché undici giorni. Non riesco a rendermene conto, trascuro addirittura i preparativi e agli altri ne parlo come se a partire dovesse essere un’altra io.   Ogni volta che sto per lasciare quest’italica terra il tempo si ferma. Stand-by. Il tempo che perdi a districare quel grosso nodo che intrappola tanti fili di pensieri. Come se i miei neuroni avessero partorito nuove idee. Come se queste idee dovessero per forza starsene imprigionate dietro le sbarre di uno stato latente perché qualcuno s’è divertito a staccare e poi riattaccare a caso le sinapsi che collegano le loro matrici neuronali. Come nello spazio. L’attesa nel vuoto. Il mantenerti a galla non ti costa fatica perché non avverti il peso di quello che ti aspetta. Ma la fatica arriverà. Tra undici giorni arriverà      – trallallerotrallallà –