PER FORZA DI COSE O PER SCELTA

PER FORZA DI COSE O PER SCELTA 

Oggi, lunedì 29 settembre. Stamattina un aereo di una compagnia low-cost avrebbe dovuto portare me e la mia bicicletta alle porte di Siviglia. Da lì avremmo iniziato la nostra spedizione verso il nord, attraverso La via de la Plata, fino ad arrivare in Galizia, a Finisterre. E poi giù, a scoprire il Portogallo e la sua gente, percorrendo strade costiere e mangiando ogni giorno baccalà. Giù, fino a Lisbona, la città tanto cara a Pessoa.  E da lì un altro aereo, un volo verso il focolare di casa e verso l’inverno. O magari, chissà, un pezzo di strada in più, un ritorno a sorpresa su due ruote anzichè su due ali. Come minimo un mese abbondante di viaggio, cinque settimane almeno di avventura. E di solitudine.

Sono anni che ho in progetto questo viaggio. Da quando sono tornata da Santiago de Compostela.     Quattro anni fa avevo percorso a piedi il cammino francese, più di 800km attraerso i paesi baschi, dal confine francese all’oceano atlantico. Un mese di fatiche, zaino in spalla e camminare. Una delle esperienze più belle della mia vita. Non l’ho certo fatto per motivi religiosi o spirituali, per trovare risposte a domande esistenziali o che. L’ho fatto per i soliti motivi che di tanto in tanto mi riportano in strada. Voglia di imparare, voglia di mettermi in gioco, voglia di accumulare ricordi, voglia di aver voglia di casa. Ogni viaggio che ho fatto è stata una vita in più. E quella che ho trascorso tra fine settembre e inizio novembre 2004 in Spagna è stata proprio una bella vita, faticosa e umile ma bellissima, indimenticabile. Per questi motivi avevo deciso di ritornarci al più presto, per poter rivivere un’esperienza simile, solo un po’ più difficile. Il piano inizialmente era di percorrere a piedi i 1100km che dividono Siviglia da Finisterre. Un mese e mezzo attraverso un cammino molto meno popolato di pellegrini rispetto a quello francese, che è il più famoso. Un periodo di viaggio abbastanza solitario, più duro del primo non solo per la distanza maggiore ma anche per altre difficoltà tecniche(orientamento, distanze tra i centri abitati, reperibilità di acqua, etc) e, ovviamente, per le privazioni sociali e tutti i svantaggi derivanti dall’affrontare le situazioni da soli anzichè in due.     Due anni fa ero mentalmente pronta per tutto questo, mi ero documentata, avevo studiato il percorso alla perfezione e soprattutto avevo voglia di starmene un po’ per i fatti miei e anche di soffrire un po’ di privazioni, se vogliamo.   Erano pronti la mia testa e il mio zaino ma non era pronto il mio corpo. Non solo era incredibilmente indebolito da un lungo periodo di malattia ma non mi avrebbe mai permesso di camminare tutti quei chilometri a causa di un problema ai tendini d’Achille. Così, dopo mille tentativi di cura caduti nel vuoto, ho dovuto rinunciare e rimanere a casa. Per forze di cose.

Rinunciare, quella volta, è stato duro da morire, anche perchè avevo dovuto mandare giù l’amarissima consapevolezza che da quel giorno in poi non avrei mai più potuto fare lunghi trekkings a piedi, mai più trenta chilometri al giorno per un  mese e oltre, mai più cammini di Santiago o simili. E camminare era la cosa che più amavo.     Finchè non ho scoperto la bicicletta… Quel trabiccolo a due ruote che mi ridato speranza e voglia di fare, quello che mi ha fatto ritrovare le forze e la salute, quello che tuttora mi porta a spasso per il mondo e nel mio cervello. 

Il nostro non è stato un colpo di fulmine ma un amore sudato, nel vero senso della parola. Un lungo approccio, mille dubbi, la difficile ricerca di un compromesso. Quanto ho dovuto corteggiarla, quante volte l’ho mandata a fanculo, la vicinanza forzata e la voglia di allontanarmi. E poi il perseguire, lo stringere i denti, l’adattarci l’una all’altra e soprattutto il pazientare. Gli sforzi, la costanza. Per dio, cara la mia bicicletta, ce lo siamo proprio guadagnate il nostro amore…

Ed ora avevamo l’occasione di vivere una nuova, intensa esperienza assieme. Tu ed io ancora, a distanza di pochi mesi dall’ultima avventura. Tu ed io ad affrontare un viaggio che sogno di fare da anni.

Eccomi qua, in perfetta forma fisica e adeguatamente allenata. Da quando sono tornata conduco una vita equilibrata e senza eccessi. Niente schifezze, niente sbronze, niente strapazzi e almeno otto ore di sonno ogni notte. Mi alleno cinque giorni su sette e mi controllo in tutto, mi sforzo addirittura di non incazzarmi mai perchè incazzarmi mi porta via energie. Sono fisicamente e mentalmente equilibrata, tutto va perfettamente bene.     Eppure non sono pronta a partire.    E il motivo è molto semplice, il motivo è che    non  –  me  –  la  –  sento.

Non ho ancora digerito tutto quello che ho vissuto in Australia e Nuova Zelanda. Ogni giorno ci penso e ogni giorno capisco una cosa in più, ho come una grande costruzione di lego in testa e ogni tot ore un pezzetto si stacca dal gruppo e mi permette di assimilarlo. Come un aminoacido che si stacca da una proteina. I ricordi mi sfamano e continueranno a farlo ancora per un po’. Per questo non sento ancora il bisogno di un altro viaggio tanto sostanzioso.

E non solo. Ero entusiasta all’idea delle ore che avrei trascorso in sella, delle salite spremisudore, della strada da trovare, dei paesaggi conquistati con le mie gambe, delle distanze che si accorciano, della scoperta. E ho pensato solo a questo, fino a pochi giorni fa. Poi una sera, rileggendo un po’ il mio blog, ho pensato anche ad altre componenti del viaggio. Ho pensato al cenare ad un tavolo vuoto, al ritrovarsi in mezzo a un posto perso e al non poter condividere i dubbi e le insicurezze. Al cercarti un posto dove dormire e all’occupare una stanza singola in un ostello affollato. Al far la spesa e poi cucinare per una persona sola. Al ripetere ogni giorno, a persone diverse, sempre le stesse cose, di dove sei, da dove sei partita e dove sei diretta e al non dire a nessuno le cose che vorresti dire davvero. Allo star male e al non aver nessuno che ti porti un bicchiere d’acqua o che ti dica che non è nulla e che passerà, al dover prendere decisioni di continuo senza confrontarle mai con altri punti di vista. Al vedere cose meravigliose e al tenersele solo per sè, al capire cose che non potranno mai essere capite da chi non le ha vissute con te. All’arricchirti interiormente e al non poter condividere tutto ciò che hai guadagnato.

Io ci penso e mi viene un nodo alla gola. Penso a quello che passato, tutta la solitudine che ho patito mentre ero via e mi vien male. Mi vien male.    E con questo non voglio certo dire di aver fatto un viaggio del cazzo che mi ha fatto solo patire. Dico che ho vissuto un’esperienza che mi ha fatto ritrovare la salute e che mi ha insegnato tante di quelle cose che nemmeno mille anni di routine mi avrebbero fatto vedere. Dico che ho vissuto un periodo molto intenso, tanto proficuo quanto difficile e che non ho ancora finito di scomporlo e metabolizzarlo proprio per la sua complessità e per la sua durezza.

Ad ogni modo, sarei potuta partire comunque, sarei stata capace di far tutto quello che avrei dovuto, senza grossi problemi. Ma ho preferito rinunciare e rimanere a casa, a godermi le abitudini, gli amici, le comodità. Tutto quello che tanto mi mancava mentre ero via.    Potrei ma non voglio. Perchè la solitudine non mi affascina più come prima. E la verità è che mi è costato una fatica micidiale ammetterlo ma che farlo mi ha tolto un peso e che mai, prima di stavolta, rinunciare è stato un sollievo.

PER FORZA DI COSE O PER SCELTAultima modifica: 2008-09-29T23:52:00+02:00da betterbequiet
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