A SALAMANCA!

12 MAGGIO

(DIO DOV’E’?)

La sera prima sono pure andata alla messa. Nella pensionetta in cui ho alloggiato ho conosciuto un gruppetto di compaesani: un prete gay e due accompagnatori bigotti (chissà che direbbero i due bigotti se scoprissero che il sacerdote del loro paesello è attratto dai maschietti). Mi chiedono se per caso mi va di partecipare alla cerimonia, visto che sarà questo povero prete a far messa. E io ovviamente ci vado, perché sono curiosa.

Gli ultimi banchi della chiesa si riempiono di donne di mezz’età. Nessun maschio e nessuno tra i presenti si siede sui banchi vicini all’altare. Rispettose distanze.

Si recita il rosario all’infinito, si canta, si tollera, ci si stringe la mano guardandosi negli occhi, in segno di cattolica fratellanza. Io non sono religiosa, o meglio, lo sono a modo mio. Qualsiasi assiduo fedele di una qualsiasi religione per me è soltanto un fanatico che necessita di credere in qualcosa per giustificare il suo vivere. Preferisco il buonsenso alle regole, preferisco una propria morale, rispettosa del prossimo, che il rispetto di una imposizione dettata da chissà chi, chissà quando.

Credo che 11 grammi non siano il peso dell’anima ma il peso di un ultimo respiro, credo che lo spirito, se manca, si possa comprare nelle distillerie. Credo nel vento, nella fatica, nella voglia, nei sassi, nella rinuncia, nella correttezza e nei sensi. Credo che siamo fatti di carne e ossa e che a renderci gli individui che siamo siano le esperienze che abbiamo vissuto e la casualità della nostra combinazione cellulare.

Infine credo che per poter davvero comprendere ed esser d’aiuto al prossimo preti e suore dovrebbero scopare di più e pregare di meno.

Eppure oggi è una giornata in cui avrei bisogno dell’aiuto di Dio. La padrona dell’hostal, la vecchia signora Elena ci avvisa che la strada per Fuenterroble è lunga e faticosa, specie se ci si arriva seguendo la strada nazionale. Così, dopo un’abbondante colazione ci rifila pure due uova sode a testa, “per la carica”, ci dice.

Partiamo, io, Rafael, il cielo che promette pioggia e le uova. E’ subito salita, traffico e pedalate deboli e veloci. Sudore e smog per un paio d’ore, fino a un incrocio in cui seguendo a sinistra si devia per Càparra, un sito archeologico con i resti di un insediamento romano. Decidiamo che val la pena darci un’occhiata, far un po’ di turismo. Il posto è affascinante ma ci costa ben 20 km in più di strada con mille salite. Due ore in più di fatiche e una perdita cospicua di pazienza da parte mia, che al cinquantesimo chilometro entro in crisi e me la prendo col povero Rafael. Arriviamo ad Aldanenueva senza forze, io sono cosi sfatta che medito sull’ipotesi di trascorrere qui la notte. Un panino, un tè caldo e un buon succo di ananas però mi fanno recuperare un po’ di forze e di volontà e così si prosegue ancora, stavolta in compagnia di due bestiacce di austriaci che viaggiano  armati solamente di uno zainetto e due gambe muscolose come due colonne greche. Un bel gruppo: Rafael, il cinquantenne elettricista di Siviglia, chitarrista di flamenco per passione e sempre per passione atleta di triatlon. I cinquantenni austriaci che procedono a ritmi da tappa del giro d’Italia e con la bici leggerissima(si saran portati almeno un paio di mutande di ricambio?). E io. La neo trentenne italiana, atleta per niente, con la bici pesante e la gamba corta. Sono sempre l’ultima della carovana ma rimango pur sempre attaccata ai carri che mi precedono.

La salita per e dopo El Bano mi fa perdere un’altra tonnellata di energie(500m di altitudine con una pendenza del 12%) ma non devo cedere perché mancano ancora 30 km e bisogna farli su sterrato e affrontando ancora tanta salita. Le gambe in qualche modo reggono, la volontà si aggrappa con le unghie al più misero briciolo di possibilità di farcela che ho. Io non voglio mollare, per dio, voglio farcela, voglio sentirmi fiera di me e avere qualcosa di cui ricordarmi quando sarò vecchia: il giorno in cui, con una mountain bike in Spagna, ho percorso 101 km di cui 25 di sterrato, scalando un’altezza complessiva di 2000 metri, trascinando un peso di 35kg(bici e bagaglio) e stando dietro a tre super uomini. Io l’ho fatto. E mi è costato tutta la forza, mentale e fisica, di cui sono capace. Ma me lo ricorderò per tutta la vita.

 

13 MAGGIO

(POSTUMI DELLE FATICHE)

Quanto fa freddo a Fuenterroble. Partiamo tardi per percorrere i 50 km che ci porteranno alla bella Salamanca, dove finalmente mi prenderò un meritato giorno di assoluto riposo. Questo paesello di montagna, solitario e autentico, con il suo ospitalissimo ed eccentrico albergue(un rifugio per pellegrini), il suo bar dalla cucina sana e sostanziosa e dal buon vino rosso corposo, i suoi abitanti rispettosi, mi mancherà parecchio. Chissà mai che un giorno non ci torni per lavorare nell’albergue, a gratis ovviamente, come mi ha proposto il prete super sveglio che lo gestisce.

Vestiti con tutto quello che abbiamo, pedaliamo lenti verso la prima salita. La stanchezza accumulata il giorno prima si fa sentire tutta e oltre a quella si fanno sentire pure i tanti bicchieri di rosso con cui la sera prima abbiamo brindato all’impresa. Io e i tre super uomini.

A me quasi si staccano le dita delle mani per il freddo ma appena inizia la scalata il sudore mi impregna abbondantemente  le maglie per poi trasformarle in tute di ghiaccio durante le discese. Non so più come vestirmi. Se mi vesto poco muoio di freddo, se mi vesto molto muoio di caldo. E’ una tortura per un corpo già massacrato. Poco più di 50 km che sembrano non finire mai, arriviamo a Salamanca che ormai comincio ad aver le visioni e i contrattempi poi rendono il tutto ancora più atroce. Rafael fora una gomma, a me va a fanculo il cambio della bici e in centro giriamo per un’ora prima di riuscire a trovare un alloggio. Doccia, cibo, birre e partite di calcio. Tiriamo la mezzanotte, allo scoccare della quale chiudo gli occhi e subito dormo. E non c’è più niente e nessuno, nessun mondo, nessun pensiero. Solo la notte e il silenzio. Finalmente. Domani non pedalo.

 

14 MAGGIO

(SALAMANCA SI SVEGLIA PRIMA)

Mi piace passeggiare per le città al mattino presto. Le trovo così innocenti e sincere a quest’ora, come le persone quando ancora dormono.

Le strade sono inaspettatamente affollate. Dev’esser colpa dell’università se la gente quì è costretta a battere passi pesanti sulle vie lastricate di pietra, gli occhi ancora tiepidi di sonno e il vento freddo nelle orecchie. Così, di primo mattino.

Paesaggio a strati: il grigio dei marciapiedi, il beige dei palazzi e delle chiese, il grigio del cielo intoccabile. E i rumori che si susseguono uguali: cicogne innamorate che battono il becco, tacchi veloci sulla roccia dura, gru in movimento, auto lente, grida di operai.

Mi muovo per la città, tra la gente che ha un direzione e un qualcosa di preciso da fare, come si muoverebbe una macchietta d’olio su un fiume d’acqua. Lenta e diversa. Il mio stato di ciclista-viaggiatrice mi esenta dal dovere di sembrare carina, perlomeno curata.

Una pasticceria aperta, un croissant caldo, la fame, le briciole croccanti che cadono ad ogni morso e la marmellata di fragole che arrotonda l’impasto di farina e burro.

E poi la voglia di un orologio al polso, la voglia di aver voglia di scattare fotografie, la voglia di un caffè caldo e quella di un berretto di lana in testa. Perchè fa così freddo in questa città?

Entro in un bar, bevo un latte macchiato cercando di non scottarmi il palato e non sapendo dove posare gli occhi. Di fronte al bancone, la parata reale dei super alcolici e ai lati gli inviti amichevoli dei dolci. Un’operosa macchina per il caffè, uno spremiagrumi alla moda. I due baristi che se la raccontano, un banchiere che si divide tra un pc portatile e un telefono con gps, internet, aria condizionata e microonde; una segretaria che sfoglia un quotidiano fingendo interesse. E io, che sono vestita male e non so dove guardare, se non un po’ ovunque, un po’ chiunque.

Esco dal bar ed esce il sole dal suo letto di nuvole. Non scalda ancora l’aria ma perlomeno intiepidisce un po’ la vista. Torno al mio hostal stanca e affaticata dai quattro passi, devo dormire di più. La mia stanza ora vuota, Rafael è partito stamattina per la sua strada, di nuovo un po’ di privacy e un poter pensare in silenzio anziché parlare. Il bagno tutto per me e tutto il tempo che voglio per leggere qualcosa seduta sulla tazza del water. O per fissarmi allo specchio. Mi pare che la faccia mi stia cascando e all’improvviso guardandomi negli occhi segnati mi sento più vecchia di vent’anni. E forse lo sono davvero.

A SALAMANCA!ultima modifica: 2009-05-14T18:51:25+02:00da betterbequiet
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