FORTUNA VS SFORTUNA

 

05 MAGGIO


Oggi la mia buona e la mia cattiva stella non fanno che prendersi a calci. E’ una giornata da incubo che passa a colpi di fortuna e di buona volontà. Taaanta volontà. Tutta quella che ho, per la precisione.

Lascio il mio bell’albergo di Coimbra e 5 minuti dopo inizia a piovere. Mi metto al riparo, aspetto che passi, quindi riprovo a partire. Il percorso dovrei saperlo a memoria, l’avrò controllato su google almeno dieci volte. Ma questo però è un labirinto, un percorso minato di strade a senso unico e di tangenziali vietate alle biciclette. A un certo punto mi trovo al centro dell’inferno. Qualsiasi direzione è vietata ai non motorizzati e non posso nemmeno tornare indietro perchè dovrei farmela contromano lungo una strada stretta e super trafficata. Non so davvero che pesci pigliare, l’idea migliore che mi viene è quella di fermare una qualche auto e sperare nella buona sorte. E la buona sorte arriva puntuale. A soccorrermi si ferma Nunes, un ingegnere cinquantenne che sta andando a lavorare in un cantiere non lontano da quì. Gli spiego il problema e l’unica soluzione che riusciamo a trovare è quella di caricare bici e ciclista in auto per uscire dal groviglio di tangenziali. Detto-fatto, il mio gentilissimo salvatore mi porta all’imbocco della strada giusta e prima di lasciarmi andare mi offre pure un caffè. Parliamo un po’, Nunes è un uomo molto intelligente. Oltre al portoghese parla molto bene anche lo spagnolo, il francese e ovviamente l’inglese. Fa un lavoro che gli piace e che probabilmente gli fa guadagnare anche parecchi soldi. In effetti non fa che raccontarmi dei suoi averi. Auto, barca, moto, case. Non è sposato, non è impegnato, non ha figli, fuma tre pacchetti di sigarette al giorno e ogni fine settimana si scola mezza bottiglia di whiskey. Prima di salutarmi mi dà il suo biglietto da visita e mi fa promettere di chiamarlo qualora mi trovassi in difficoltà.

Prima Carlos, ora Nunes. Due uomini che si offrono di prendersi cura di me. E per me è un qualcosa di nuovo: affidarmi, lasciare che sia qualcun altro a fare le cose per me. Io che sono abituata ad arrangiarmi, a non chiedere mai aiuto, a fare sempre di testa mia. Io che sono abituata a guidare, a pagare il conto, a proteggere. Io ora mi ritrovo dall’altra parte e mi stranisce e mi imbarazza questa situazione ma mi piace anche. Mi piace mettermi nelle mani di qualcuno sapendo di potermi fidare. Mi piace sentirmi piccola, vulnerabile, mi piace potermi permettere di non pensare, di non dover sempre trovare una soluzione.

Questo viaggio mi sta insegnando a chiedere. A farmi rendere conto che per gli altri spesso è un piacere potermi essere d’aiuto. Io invece ho sempre creduto fosse una scocciatura. Ma sbagliavo. E’ un modo per far sentire gli altri utili e importanti per te.

E di questo ne ho conferma anche dopo aver salutato il caro Nunes. Mi perdo nuovamente, ricomincia a piovere, un acquazzone. Allora mi fermo a un distributore per aspettare che passi e mentre sono lì il benzinaio mi chiede dove sto andando, se ho bisogno di aiuto. Sono tentata di rispondergli che va tutto bene, invece tiro fuori la mia cartina e gli indico dove sono diretta. Ed è un colpo di fortuna, perchè col suo portoghese incomprensibile sto ragazzo mi fa capire che sono sulla strada sbagliata ma che per reimmettermi sulla via giusta devo tornare indietro di poco. Chiedere, devo abituarmi a chiedere.

La pioggia non sembra volersi calmare, sto ferma al distributore un quarto d’ora a conversare a gesti con il mio ennesimo salvatore, più un contadino che in vespa sta andando a portare un po’ di verdura al vicino mercato. Quest’uomo non fa che sorridermi con i suoi quattro denti e dirmi che sono pazza e coraggiosa. Prima di riprendere la sua strada verso il mercato mi offre un cespo di lattuga, quel che ha. Non posso accettare ma in cambio gli offro comunque tutta la mia gratitudine.

Mi reimmergo nel diluvio universale, seguo le indicazioni datemi ma mi perdo ancora in questo dedalo di strade prive di indicazioni. Continuo a girare in lungo e in largo, a chiedere alla poca gente che cammina sotto quest’acqua ma le loro spiegazioni sono troppo incasinate perchè le possa capire. Alla fine trovo la via giusta ma ho i nervi così a pezzi da sentirmi azzerata e priva di forze. E la strada è tutta in salita. Corro, fatico. Smette di piovere, fa caldo. Ricomincia a piovere, fa freddo. Quando arrivo a Penela sono sfatta ma qui trovo altra gente disponibile, un barista che mi offre un succo di frutta, una donna che lavora all’ufficio turistico che mi indica la strada per Alvaiazere. Già che ci sono le chiedo pure se può telefonare per me all’unico albergo che c’è in quel paese. Che va bene affidarsi alla buona sorte ma con dei limiti. Che se non trovo una stanza in quel “fuori dal mondo” sono cazzi, dove vado a sbattere la testa poi? Ma la stanza c’è e io posso ripartire tranquilla. Seguo la nazionale, un traffico della madonna, la pioggia sottile. E poi di nuovo, all’improvviso la nazionale diventa autostrada e io devo uscirmene. Prendo la prima uscita giusto in tempo, mi fermo a un bar e chiedo altre indicazioni. E di nuovo trovo qualcuno gentile e in grado di aiutarmi.

Ma la mala sorte oggi si accanisce contro di me. Ettolitri di nuvole mi si spremono addosso. Respiro acqua, assorbo come una spugna. Non c’è una parte di me che non sia completamente annegata. E ad Alvaiazere non ci arrivo più. Prendo una deviazione a destra, seguo la direzione che mi indica un cartello stradale. Pedalo in salita, pedalo e pedalo, sotto la pioggia e in questo niente di boschi e nient’altro. Niente case, niente auto. E sento che mi stanno definitivamente andando via le forze e che non è tanto la fatica fisica a sfinirmi ma il non sapere dove cazzo sono, se mi sono persa nuovamente, se sto sprecando le ultime energie per arrivare nel posto sbagliato o se le sto investendo per raggiungere il mio eldorado. Spero e pedalo. La strada è quella giusta, arrivo ad Alvaiazere, arrivo al mio albergo. Guardo l’ora. Sono le 19.15. Dieci ore che lotto contro la sfortuna. Dieci ore che mi faccio aiutare.

Mi faccio una doccia calda. Mi fanno così male le gambe. E all’improvviso mi viene in mente che da piccola avevo spesso male alle gambe e che allora me ne lamentavo con mio papà e lui pronto mi faceva un massaggio finchè non mi sentivo meglio e potevo riposare.

E questo pensiero mi strappa un sorriso e una mezza lacrima.

In questo albergo sono l’unica cliente e all’ora di cena occupo un’intera sala da pranzo. Ho una fame galattica, la mia giornata è stata talmente travigliata che, oltre ad avermi fatto perdere il senso del tempo, mi ha anche fatto dimenticare di mangiare. Il mio pranzo oggi è stato un panino al miele e una banana. Fine.

Ma ora ho modo di rifarmi. Mi viene servita una cena divina. Olive e formaggio per accompagnare i primi sorsi di birra, una buona zuppa di verdure per scaldarmi le ossa e infine una squisita bistecca di roast-beef alla griglia con patatine fritte tagliate a mano. Una crema catalana. Un’acquavite. Non mangiavo così bene da tanto tanto tempo. E in tutta onestà penso proprio di essermela meritata una cena così.

http://www.youtube.com/watch?v=qTP2xFD3TuA

FORTUNA VS SFORTUNAultima modifica: 2009-06-07T19:58:00+02:00da betterbequiet
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