I PRIMI ASSAGGI DI MARE

 

Da Bangkok prendiamo un aereo e voliamo a Trang, nel sud non troppo estremo della Thailandia. Il caldo qui è più stancante che a nord e la maggior parte delle donne che incrociamo girano col velo. Arriviamo nel nostro alberghetto fronte stazione e ci rilassiamo un attimo, prima di immergerci nell’ennesimo mercatino. Anche qui milioni di cose e di odori ma meno stronzate e cibo di migliore qualità. La Lonely Planet lo descrive come il miglior mercato alimentare del sud. E così decidiamo di buttarci senza remore su qualsiasi bancarella che stimoli i nostri succhi gastrici o la nostra curiosità. Costi quel che costi.   Gli intrepidi.    Con un fatalismo degno di un film di Kaurismaki.

Giriamo affamati e curiosi, assaggiamo tutto ciò che sembra più cotto. A una bancarella compro un’insalata di papaya con tante noccioline, è così invitate e colorata.  Chissà quanti batteri.  La signora che me la vende, come se mi avesse letto nel pensiero, sguaina un sorriso a 29 denti(le mancavano 3 incisivi) e, con una capacità mimica degna di un Totò in versione thai, mi comunica che la verdura è stata accuratamente lavata. Con le sue manine nere di non so bene cosa.   Le sorrido, la ringrazio, le rispondo in italiano che la penserò quando sarò seduta sul water…   E lei alza il pollice in segno di gradimento.

Passeggiamo per le strade tranquille e sempre un po’ puzzone di Trang. E’ così piacevole essere lontani dal caos di Bangkok e dal suo onnipresente grigio. Finalmente un’immensa dose di verde, la vegetazione esuberante e le strade rallegrate dallo scoppiettìo di qualche motore a due tempi. Passeggiamo senza mira e finiamo col perderci e perdendoci scopriamo un enorme mercato di frutta e verdura variopinte. Di ogni cosa ce n’è una quantità spropositata. Catene montuose di melanzane, piramidi di ananas, fiumi in piena di zenzero, foreste di papaya e un arcobaleno di cetrioli. Il caldo e la gente tranquilla seduta ad aspettare dietro un bancone, lungo una strada povera d’anime e ricca di lucine colorate. Nessuna compra niente e io non capisco allora di cosa viva sta gente. Probabilmente della frutta e della verdura che non vendono.

Alla fine ritroviamo la strada per la nostra pensionetta e arrampicatici sui gradini alti e stretti della scala, non facciamo nemmeno in  tempo a preoccuparci per quello ci aspetta, per la possibilità di trascorrere interminabili ore su un water a maledire il nostro spirito d’avventura, che già dormiamo. Ci addormentiamo fatalisti e positivi. Ma non troppo, perchè ad essere troppo convinti poi succede che le cose non vanno mai come ci aspettavamo. E infatti la notte non riusciamo a chiudere occhio. Ma non per il motivo che credete voi…        La finestra del bagno è rimasta accidentalmente aperta e nella stanza si è scatenata una guerra sanguinosa tra la nostra pelle e le zanzare. Hanno vinto loro ma il mattino seguente, per quanti sfatti e dissanguati, ci sentiamo forti e carichi. Niente nausea e dalle viscere non si alza bandiera gialla. Ci siamo ormai convinti che, essendo sopravvissuti alla precedente serata, saremo in grado di affrontare qualsiasi altro piatto, in qualsiasi altro terzo mondo.

E con questo stato d’animo partiamo alla volta del tanto sospirato mare, verso l’isola di Ko Muk. Un’ora di furgone , in balìa dell’ennesimo squilibrato che con un carico di 10 passeggeri aspetta sempre le curve per effettuare sorpassi alla cieca. Fortunatamente nessuno tra i presenti è afflitto da un karma negativo, così arriviamo sani, salvi e deliranti al molo. Ci imbarchiamo su una schifezza galeggiante e un’ora più tardi arriviamo a destinazione. O no?

Spiaggia di Hat Farang, Charlie’s beach resort(detto anche Il Fetecchione). Che figata, che figata, palme e spiaggia bianca, acque cristalline e rilassate, tanto spazio, poca gente. Solo che non è il posto che avevamo prenotato. Quella in cui saremmo dovuti sbarcare era una mezzaluna di spiaggia sfigata in penombra, antipasto sconsolante di un ancora più sconsolata stracciatella di bungalows mal conservati. Non ricordandoci il nome del posto in cui avevamo prenotato abbiamo dato per scontato che non fosse quello. Più che altro, NON VOLEVAMO fosse quello… E così siamo passati oltre, facendo finta di nulla quando il capitano della schifezza galleggiante chiamava il nostro nome per farci scendere nella spiaggia sfigata.             E ci è andata bene, perchè proseguendo oltre siamo arrivati in un posto fantastico. Inutile dire che scoperto il paradiso non volevamo manco per il cazzo tornare nel purgatorio, si tenessero pure la caparra. Siamo rimasti nella spiaggia fichissima per ben tre giorni, dormendo in un bungalow a 40 metri dal mare, immerso tra le palme. Certo, abbiamo dovuto dividere casa con insetti di ogni razza e religione, e ok, le noci di cocco che cadevano infami dalle palme ci hanno quasi fatti fuori ogni giorno, ma vuoi mettere lo scenario da cartolina?

A Ko Muk ho scoperto l’enorme piacere di fare una nuotata appena svegli, prima di colazione. Gli occhi semichiusi, il passo pesante, l’odore di chiuso addosso. Buttarsi in acqua, in un mare piatto e mai freddo, e schiudersi come boccioli di fiori. Una meraviglia incomparabile.

Trascorriamo tre giorni così. Una traumatica rotolata giù dal letto attorno alle 8. A seguire, un bagno per scrollarci di dosso il torpore. Quindi una regale colazione per tirare fino a sera. Tanta sana lettura. Tante inutili chiacchere. Qualche scambio di cattiverie. Un altro bagno. Una minima quantità di sole.Una lotta contro la fame. Uno studio approfondito della lonely planet. Una doccia. I soliti cazzo di vestiti. Una fame sempre più immonda.              E finalmente una meritata cena. In una bettola in cui a farla da padrone sono i sorrisi, le attese infinite, la musica reggae e i fumi dello zampirone.

I GIORNI A SEGUIRE

Beh, nei giorni a seguire abbiamo girato per isole. Non chiedetemi di ricordarmi i nomi e non chiedetemi come cazzo ci siamo arrivati perchè non l’ho capito nemmeno io. Maledetti viaggi fai da te.

Ad ogni modo, siamo stati in posti incantevoli, abbiamo nuotato infinitamente. Sì, pure io che non so nuotare, che ho capito che se mi metto una maschera col tubo ce la faccio. Respiro, giro le braccia e quando mi entra acqua nel tubo tiro giù madonne a non finire, che tanto qua non capiscono.

Siamo stati anche un po’ nell’entroterra, Ivano s’è preso qualcosa e ha trascorso 2 edificanti giornate a vomitare e altro e sono stata lì lì per portarlo in ospedale. Poi grazie a dio s’è ripreso e quindi on the road again. Abbiamo visitato la foresta pluviale più umida del mondo ed è stato interessante. Perchè ci siamo arrivati con l’autubus di linea, dovendo dividere il sedile con altre 20 persone, tutte sorridenti e tutte a loro agio. Anche mentre ci stavano in braccio.          E’ stato interessante perchè non ho mai sudato tanto in vita mia, manco dentro una sauna a 3000 gradi e perchè dopo una tale sudata, non so bene per che motivo, mi sono sentita benissimo, come se mi fossi depurata da tutte le malvagie tossine che hanno colonizzato il mio corpo per anni.          E’ stato interessante perchè finalmente ho potuto arrampicarmi sulle liane come tarzan e perchè ho visto una quantità di serpenti e bestie strane che manco nei documentari in tv.           Infine, è stato interessante perchè da quel giorno, fino alla fine del viaggio, non siamo più stati punti dalle zanzare. Sarà che, per paura di prenderci la malaria, nella foresta ci siamo spruzzati una quantità di Autan che manco un’intera città. Nessuna parte del corpo è stata risparmiata, e intendo proprio nessuna…

Tra le varie mete, siamo stati di passaggio anche a Phuket, detta anche la Jesolo dell’oriente. Pieno così di italiani e russi, prezzi dieci volte superiori al resto del Paese, spiagge carine ma non di certo migliori di quelle in cui siamo stati prima, spiagge straripanti di gente, che non sai nemmeno dove metterti e spiagge a pagamento. Quindi, per riassumere: meno bella, più affollata, più incasinata, più cara.              Piuttosto vado a Jesolo, almeno non devo prendere l’aereo.

Gli ultimi giorni li abbiamo trascorsi a Bangkok, immersi nei vapori d’immondizia, girovaganti senza fine in taxi che non ci portavano mai a destinazione, febbricitanti di acquisti per chi ci aspettava a casa. E malati di grigio e di fumo, che a Bangkok un angolo di verde vale più dell’oro, forse più di una casa. Di certo, più di una fetta di culo.

I PRIMI ASSAGGI DI MAREultima modifica: 2011-02-19T08:32:00+01:00da betterbequiet
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